
MO. FRANCO MANCO
La musica, la Festa, e la scuola artistica barrese “che non c’è”.
di Elisabetta Nappo
Dalla seconda metà del ‘900, il valore epistemologico dell’etnomusicologia -prendendo le distanze, in un certo qual modo, dalla stessa musicologia comparata- ha indirizzato l’indagine sperimentale sulla “popolar music studies” verso contesti globali più compositi e consolidati, in cui termini quali: popolare, colto e tradizionale hanno mutato, in maniera vertiginosa, la loro accezione antropologica. Lungo il corso dei decenni, le dinamiche culturali relative all’applicazione empirica di questa dottrina hanno rivolto il loro interesse verso l’ausilio di una metodologia più specifica, orientata principalmente al superamento delle ripartizioni fra sezioni scientifiche e disciplinari: “in nome di una più matura visione d’insieme semplicemente transculturale”.
Per quel che concerne l’indagine etnomusicale sulle sonorità della Festa dei Gigli, l’attenzione dei ricercatori, per ben ovvie motivazioni, s’è spostata, negli anni, in direzione della città di Nola. Di notevole pregio scientifico, al riguardo, sono stati gli studi condotti dal prof. Giovanni Giuriati, docente di Etnomusicologia alla Facoltà di Lettere e Filosofia, della “Sapienza di Roma”.
Nello specifico, si segnala un testo molto interessante, Perspectives on a 21st century comparative musicology: ethnomusicology or transcultural musicology, di G. Giuriati e F. Giannattasio, edito da NOTA a Udine, nel 2017, contenente il saggio dello stesso Giuriati, The Music for the Festa dei Gigli in Nola (pag. 146).
Alla luce di queste considerazioni, quindi, come potrebbe essere possibile tracciare, per la musica dei Gigli Barresi, un percorso storico/antropologico, che possa confluire in un novello e fruttuoso interesse accademico/culturale, per una delle componenti più complesse e significanti del nostro patrimonio immateriale?
Il glorioso passato melodico barrese è tramontato da tempo, giacché, nella nostra contemporaneità, noi studiosi non riconosciamo più una scuola poetica locale di prestigio. L’inflazione canora, che da circa un ventennio ha colpito la musica dei Gigli Barresi, ha debellato completamente gli strascichi di un patrimonio artistico di raro valore. Del resto, richiamarsi in continuazione a un trascorso storico che ormai non esiste più, non avrebbe alcun senso, né culturale né scientifico: il disimpegno che connota l’era dei “social” è dilagante, lasciando così la “parola” “all’ingerenza massificata”, dove le competenze e le eccellenze sono azzerate.
Eppure, il patrimonio musicale barrese coevo manifesta, indiscutibilmente, un ruolo predominante nella Festa. I ritmi, le sonorità, le contaminazioni, quasi si confondono in una dimensione pancratica: in una dinamica interculturale, dove musica del passato e musica del presente, pur articolandosi in una varietà di linguaggi melodici “transculturali”, generano una nuova forma di comunicazione artistica, dove le interazioni fra una contemporaneità musicale e “un’etnomusicologia storica”, articolano codici melodici ineguagliabili.
Purtuttavia, ancora una volta, non possiamo appellarci a una scuola musicale barrese –che, nei fatti non c’è- ma dobbiamo far riferimento a un preciso musicista barrese: il maestro Franco Manco, capodivisione della Manco’s Band.
[Bibliografia ragionata]
-Giuriati G., Sui limiti del concetto di folklore musicale: la musica per i Gigli di Nola, Luglio 2007, in http://old.cini.it/it/pubblication/page/81.
-The Giglio, Periodico di musica e cultura nolana – Anno 1, n. 1, dicembre 2015: G. Giuriati, Il ruolo del Museo Etnomusicale, pag. 2.
-Nappo E., (a cura di), La musica dei Gigli: essenza di una Festa, Nola, Arti Grafiche “Giovanni Scala”, 2007.
Maestro Manco, Lei proviene da una famiglia di musicisti, e ha una carriera artistica di pregevole rispetto alle spalle. È diplomato al Conservatorio, ed ha portato a termine sia studi classici e sia moderni.
Si dedica all’insegnamento, ed ha prestato la sua professionalità al teatro e alla televisione. Si direbbe che la Festa dei Gigli di Barra, poi tanto radical chic non sia.
«Ero più che un ragazzino, quando sono salito per la prima volta, su un Giglio: e da circa trentacinque anni, ho lo stesso entusiasmo nel farlo. Nel corso di questi anni, sono cresciuto accanto a più di una generazione di signori musicisti, che hanno rivoluzionato e indirizzato l’espressione melodica festiva. Scegliere di “consacrare” la mia vita professionale alla musica, ha però riguardato esclusivamente la mia crescita come persona. E sì -per rispondere alla sua domanda- si potrebbe affermarlo benissimo.»
Trentacinque anni, sono un lasso di tempo lunghissimo, se paragonato ai tempi relativi brevi, circa gli avvenuti cambiamenti, registrati nell’ambito musicale festivo. Diventa molto più complicato, per un musicista di talento, adeguarsi a questi cambiamenti (ritmici e melodici), o provare a imporli?
«Negli anni ’80, la standardizzazione melodica imponeva una rigidità schematica, che prevedeva precise esecuzioni sonore, da parte dei musicisti, i quali interpretavano quasi alla lettera le direttive artistiche impostate per la Festa. I tempi ritmici, le sonorità, le melodie che stabiliscono i movimenti riguardanti la ballata del Giglio, sono vincolati a una variabile: devono funzionare. La questione è una sola: imporre una rivoluzione ritmica, o impiantare un nuovo strumento nella collegialità del comparto musicale richiedono consenso, non coraggio.»
Il maestro Manco, nel suo stile musicale, imposta un’intesa nel quale le sonorità contemporanee si declinano nel patrimonio artistico della Festa. Può apparire scontato affermare che sia un percorso quasi obbligato, per un sassofonista di eccellenza quale Lei si presenta. Tuttavia, il successo non è mai frutto dell’ovvietà.
«Per sua definizione, il patrimonio culturale della Festa dei Gigli tende a “tramandare”, nel tempo, il suo accaduto; dal punto di vista musicale, quest’affermazione può essere valida nella misura in cui le sonorità riescano a definire i capisaldi di un messaggio artistico, che pur modificando le sue forme non rinnega i suoi contenuti. Poi è chiaro quanto sondare nuovi linguaggi appare talvolta quasi una necessità, per un musicista, poiché egli si nutre di ciò che accade attorno a lui. La musica è un’arte universale: il successo, per quanto mi riguarda, penso sia impegnarsi a lasciare una piccola impronta, lungo questo cammino.»
Lei è un insegnante: qual è la prima lezione che ha imparato, nel corso della sua carriera di artista, e che oggi insegna ai suoi alunni?
«Ad essere umili. Le passione vanno alimentante con lo studio, la dedizione e l’applicazione. Lo studio può forgiare un talento, l’umiltà definisce che sei.»